Psicoterapia con il “gioco della sabbia”
Chi lavora con la sabbia utilizza frequentemente l’affermazione di Jung (1957-58,), il quale sostiene che “spesso accade che le mani sappiano svelare un segreto intorno a cui l’intelletto si affanna inutilmente”, e le mani, infatti, a volte, parlano più chiaramente delle parole.
Il “Gioco della sabbia”, noto anche come Sandplay Therapy o “Terapia con il gioco della sabbia” nasce da una intuizione della psicologa svizzera Dora Maria Kalff (1904-1989), allieva di C.G.Jung e si inserisce a pieno titolo nel solco della Psicologia Analitica di cui Jung è stato fondatore.
È una metodica di psicoterapia analitica che utilizza le risorse creative dell’individuo, integrando il lavoro verbale con la produzione di immagini. I quadri di sabbia così ottenuti permettono di andare molto in profondità e di contattare ed elaborare tematiche conflittuali arcaiche.
La sabbiera si configura come un temenos, come uno spazio “libero e protetto” (Kalff 1966), all’interno del quale si possono integrare tutte le diverse parti di sé, sperimentare nuove possibilità e scoprire nuovi aspetti della propria personalità.
Il metodo del “gioco della sabbia” si è dimostrato valido nella psicoterapia di bambini, adolescenti e adulti.
Il materiale utilizzato è organizzato con delle scaffalature in cui vengono ordinati numerosi oggetti in miniatura secondo varie categorie (essere umani, animali, case, mezzi di trasporto, alberi, ecc.). Questo materiale viene usato dal paziente dentro una cassetta, di dimensioni stabilite, avente il fondo blu e contenente sabbia.
Tra i numerosi oggetti presenti nella stanza, il paziente sceglie quelli che costituiscono delle immagini significative e che rappresentano, in quel momento, “il linguaggio”, della sofferenza psichica, inesprimibile verbalmente. “Il “quadro di sabbia” che ne scaturisce, è una sintesi di interno ed esterno, di psichico soggettivo e oggettivo, cioè di personale e di archetipico (Kalff 1966, Montecchi 1993).
Spesso accade che le mani sappiano svelare un segreto intorno a cui l’intelletto si affanna inutilmente”
(Jung 1957-58)